EXXXTRA SPECIAL INTERVIEWS. Nice Stilla on air con UKnowDis , l’essenza della cultura hip hop made in Italy. A CURA DI MARTINO VESENTINI

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Nella galassia dei Social e delle Piattaforme Digitali il materiale a nostra disposizione è sconfinato, tanto che risulta difficile scoprire cose nuove ed interessanti, molto più semplice perdere tempo ed energie a “scrollare” inutili profili / playlist / magazine o presunti tali. A volte però capita di imbattersi in qualcosa che brilla grazie alla passione di chi lo fa, ed è una cosa che si percepisce quasi istantaneamente, come se avessimo un radar in grado di guidarci in mezzo al caos della rete. Elena è una ragazza di 26 anni, con una passione smisurata per la musica che l’ha portata addirittura a scrivere una Tesi di Laurea, e che ora si sta misurando con un Podcast dedicato a dischi rap di nicchia. Proviamo a conoscerla meglio.

 

Chi è Nice Stilla Shawty? 

Sono una rapper e vorrei essere una musicologa. Ho molti interessi nell’ambito dell’arte, della radio, della musica e dello spettacolo, tant’è che dopo il Liceo ho completato una laurea triennale in DAMS e una Magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale. Lo studio mi ha sempre accompagnato nella mia crescita personale ma soprattutto musicale. Tutt’ora è molto importante per migliorare ogni giorno quello che so e per trovare ciò di cui vado ancora tanto in cerca.

Come nasce la tua passione per la musica rap? 

Appassionarmi al genere è venuto in un secondo momento. A scuola, quando frequentavo le Medie, c’erano alcune mie compagne che ballavano Hip Hop. Sono andata più a fondo alla questione e sono stata rapita dalla Breakdance. Ho continuato coi graffiti e il Rap è venuto da sé, trascinato dalle altre due discipline. Registro ufficialmente dal 2015, anche se ho mosso qualche passo prima, attorno al 2013-2014, con qualche contest sporadico.

Quando, come e perché è nata l’esigenza di un Podcast come questo? 

È nata a fine 2021, qualche mese dopo la chiusura della mia seconda Tesi Universitaria dal titolo “Il Rap italiano: analisi stilistico-sonora dagli anni ’80 ad oggi con un approccio storiografico (2020-2021)”. Prima mi limitavo a qualche post sui miei social, solo quando ne avevo voglia, poi ho pensato di aver abbastanza materiale per parlarne più approfonditamente, rispetto a delle semplici storie Instagram. Nel 2022 ho cominciato a pensare ad un possibile progetto ben strutturato. Da gennaio 2023 ho avviato tutto: ho riaperto i miei secondi profili Social in cui postavo senza impegno playlist musicali e ho ri-assettato tutto in vista di una pagina con Playlist e Podcast, tra cui questo, come se fosse una rubrica radiofonica a tutti gli effetti. La sto costruendo giorno per giorno, è una novità per me. Non ti nascondo che mi piacerebbe anche uno sviluppo di tutto ciò in ambito professionale. Sul perché è nato nello specifico “UKnowDis” invece, ti posso dire che non esiste un podcast che parla di Rap italiano, o almeno non mi risulta al momento. Sono sempre stata attirata da format radio/TV che parlavano e diffondevano la cultura della mia musica, come per esempio “The Flow” anni fa, quindi perché non provarci e mettere in pratica quello che ho studiato, in vista di un futuro anche lavorativo, con uno strumento di comunicazione che può mettere insieme musica, radio e quello che so?

Spiegaci il concetto delle 3R! 

In particolare in questo podcast autoprodotto, intitolato “UKnowDis”, nella sigla “rappo” appunto “…Tripla R: Reale Raro Rap…“, sottotitolo del format e dell’intro uguale per tutte le puntate che ho pubblicato e pubblicherò. In breve, l’intento è di parlare di dischi fisici che io stessa ho nella mia collezione, quindi reali, che si toccano con mano; rari, ovvero dischi poco conosciuti rispetto ad altri o difficili da trovare ma che meritano secondo me spazio e attenzione; esclusivamente di Rap italiano, per questo format, perché è proprio la mia specialità.

Gli episodi sono molto brevi, 5 minuti la durata, è una scelta ben precisa legata alla famosa soglia di attenzione mediamente bassa delle persone? 

In realtà ci sono e ci saranno episodi anche di 7-8 minuti, quelli che sto preparando in questi giorni sono arrivati anche a più di 10. Di base, non mi sono limitata per la paura di annoiare condensando al massimo, semplicemente vorrei fossero puntate puntuali, precise e qualitativamente utili. Rimango più oggettiva possibile e non voglio perdermi, perché quando si fa analisi musicale è così. La durata dipende non solo banalmente dalla mia voglia di parlarne ma dalle stesse informazioni che riesco a trarre dai dischi e quanto ne so io dell’argomento. So che di questi tempi c’è una soglia di attenzione ben precisa e che è pure bassa: per i podcast così specifici se ne va presumo al minuto 7-8 di media (se non prima), ma non ci faccio troppo caso. Essendo una novità anche per me, tendo a equilibrare i discorsi, non voglio essere né troppo superficiale ma nemmeno troppo pedante! Nelle puntate comunque lascio sempre degli spunti, la knowledge è così: ci dev’essere sempre quello “spazietto” lasciato per poter dare all’interlocutore il modo di approfondire anche un po’ da solo, penso sia giusto, sennò che gusto c’è? Per ovviare comunque al problema “soglia dell’attenzione”, se si sceglie di ascoltare questo podcast su Spotify, si avrà la possibilità di rispondere a brevi sondaggi-curiosità durante l’ascolto della puntata o inviarmi delle domande-precisazioni-spunti nei box.

Tecnicamente cosa usi per registrare il Podcast?

Non ti nascondo che per fare “UKnowDis” ho semplicemente usato, e probabilmente continuerò a farlo perché sono un po’ “imbranata” tecnologicamente, un kit Focusrite molto modesto e Audacity. Fine. Non sono un ingegnere acustico, né un tecnico del suono che sa maneggiare Pro Tools o simili… Per chi volesse imbastire come me un podcast dal nulla è necessario avere sicuramente un microfono con un’asta, una scheda audio, delle cuffie e un programma audio per mixare la voce del podcast registrata con il tappeto sonoro e eventuali sigla di apertura, chiusura, suoni, intermezzi, registrati di interviste, ecc. E’ chiaro che più qualità si vuole raggiungere (sempre se si ha la possibilità di investirci del denaro) più bisognerebbe rivolgersi ad uno studio di registrazione professionale, per far uscire dei prodotti competitivi al massimo della possibilità.

So che sei una collezionista di dischi rap, quanto e perché è ancora importante possedere fisicamente un disco in un’epoca come questa? 

Colleziono prima di tutto perché mi è stato insegnato “indirettamente” dallo zio materno ma soprattutto da mio padre, per me è “automatico”. In secondo luogo, perché mi piace avere tra le mani qualcosa di vicino, cercarlo e trovarlo, mi dà un senso maggiore di realtà “musicale”. Ovviamente ascolto anche in digitale perchè è una grande risorsa, non lo esorcizzo in nessun modo, tuttavia poter toccare il disco, il booklet, sfogliare il vinile non è solo un feticcio, è anche oggetto materiale e musicale che può dare informazioni e testimonianze, come una persona intervistata in carne e ossa. Tratto i dischi come se fossero reperti veri e propri. È come un archeologo che scava i tasselli di un mosaico e pezzo per pezzo presenta il suo studio; è come uno storico dell’arte che guarda le opere da vicino per tracciare la biografia e lo stile degli artisti, non so se mi spiego. Non posso fare musica, ricerca e musicologia senza avere anche i dischi (per quanto più possibile, non possiedo tutto, e se non ho una cosa grazie a Dio esiste Internet ora) o oggetti come documentari, riviste, video ecc.

Spoiler dei prossimi episodi? 

Se parliamo solo di “UKnowDis” ancora non ho deciso quante puntate saranno ma sto continuando a parlare di dischi e nel mezzo tratterò parte dei miei studi, per inquadrare bene quello che dico. Una puntata sarà dedicata infatti al modo di fare storia, storicizzazione e storiografia del Rap italiano. Come dico in quella puntata (uscirà entro questo mese di febbraio), non voglio assolutamente intrappolare il Rap in questi “paroloni” o in tesi accademiche senza una logica. Vorrei solo mettere in pratica quello che ho studiato ma anche quello che ho imparato a mie spese negli anni facendo Rap. Mi sono resa conto che merita di essere raccontato bene. Il Rap può crearsi il tutto anche se è nato dal basso, dal niente. Questo stereotipo ci ha spesso etichettato negativamente o resi “inferiori”: io penso invece che sia un fenomeno musicale come gli altri contemporanei, molto complesso e con determinati codici culturali che ci appartengono e merita attenzione, senza però snaturarlo. Non abbiamo nulla da invidiare a nessuno.

 

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