Intervista analogica. RE.COH. tra recupero e abitare collettivo in Sardegna. Il Cohousing diventa un gioco da tavolo, HOMU.

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La redazione di Nootempo intervista oggi RE.COH, Associazione di promozione sociale sarda che si occupa di promuovere e realizzare progetti di abitare collaborativo nell’isola. RE.COH è l’acronimo di Recupero e COHousing ed è composta da un team di Architetti, Ingegneri e Community Managers. Andiamo a conoscere chi sono Arianna, Francesca, Silvia, Andrea e Marco e quali sono i loro progetti per un’idea innovativa di abitare e vivere il territorio collaborativo e solidale in Sardegna.

 

RE.COH, Associazione di promozione sociale che si occupa di abitare collettivo: chi siete e cosa fate?

Come si può intuire dal nostro nome, il nostro obiettivo è quello di promuovere e favorire la realizzazione di abitazioni collaborative attraverso il riuso del patrimonio esistente. Tale interesse nasce dal nostro percorso universitario comune, dato che noi tutte e tutti proveniamo dai corsi di Architettura, Ingegneria edile-architettura e Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università di Cagliari, e ad oggi affianchiamo la nostra attività lavorativa e professionale a quella associativa di promozione del cohousing, nell’attesa che un giorno possa diventare un lavoro a tempo pieno.

Che cos’è il Cohousing e perché è importante parlarne nei territori e nelle comunità sarde?

Il cohousing è un modello abitativo ormai noto e diffuso in nord Italia e, soprattutto, in nord Europa. Esso prevede la realizzazione di una “casa fatta di case”, ossia una proprietà condivisa da più nuclei familiari in cui coesistono le singole abitazioni private e gli spazi comuni ad uso e gestione della comunità di abitanti come, ad esempio, un grande cortile o orto comune, una sala per pranzi e feste, una biblioteca o un’officina condivisa, ma anche ambienti per ospitare servizi condivisi, come un nido o un co-working.

Il fatto di dover co-progettare e co-gestire il proprio cohousing determina al contempo la necessità che si sviluppi un forte senso di comunità, in cui le persone sono pronte a supportarsi a vicenda. Ciò diventa particolarmente interessante in chiave sociale, per la creazione di comunità solidali, in un’isola in cui genitori sempre più anziani vedono i figli mettere su famiglia a notevole distanza dal luogo d’origine e in cui, quegli stessi figli, che diventano a loro volta genitori, si ritrovano a non avere un supporto fondamentale come quello della figura del nonno: l’abitare collaborativo, con la creazione di un vicinato cosiddetto “elettivo”, oltre ad essere un’importante risorsa sociale e culturale, può rivelarsi una valida soluzione per tutte quelle (apparentemente piccole) problematiche che, purtroppo, si presenteranno nel tempo in Sardegna a causa, per fare alcuni esempi, delle sempre più scarse risorse in mano alle amministrazioni o dell’impoverimento delle aree interne.

Come si lega il tema dell’abitare condiviso e solidale a quello del Recupero in Sardegna (che è la seconda parola chiave del vostro nome)?

La parola “recupero” ha per non noi una grande importanza, per due motivi principali. Il primo riguarda il nostro percorso universitario e le tematiche su cui ci siamo specializzati, ossia il riuso del patrimonio edilizio esistente. Il secondo motivo riguarda l’oggetto di questo recupero, che per noi non riguarda solamente la materia fisica, ma anche la possibilità di riproporre, di recuperare degli usi che erano assolutamente alla base del vivere in comunità nei paesi e nei vicinati della Sardegna, come ad esempio la cura dell’anziano, il baby-sitting da parte dei vicini di casa, il mutuo aiuto tra persone del vicinato, tutti servizi che, anche per necessità, erano resi solidalmente dalla collettività, mentre oggi devono essere acquistati o forniti da enti terzi.

Nootempo  intervista spesso e volentieri realtà del territorio che fanno della cultura e dell’arte il loro caposaldo. Pensando ai contesti dei nostri piccoli paesi sardi, alcuni dei quali in via di spopolamento, quanto è importante la componente culturale e artistica (spesso carente) per la sopravvivenza delle comunità?

Una comunità senza cultura, non può essere una comunità. La possibilità di potersi esprimere, per una collettività, è fondamentale per poter dare un’immagine di sé, e per poter produrre valore culturale, sociale ed economico. Così come un’architettura se privata della sua funzione, e quindi della sua possibilità di essere un contenitore di “cultura” (anche, banalmente, domestica), è da considerarsi come morente e destinata al degrado, allo stesso modo un centro urbano in cui gli abitanti sono privi o privati di produzioni artistiche e culturali, risulta impoverito di funzioni importanti tanto quanto i servizi sociali ed economici e, di conseguenza, proiettato verso l’involuzione.  

In giorno in cui…raccontateci un aneddoto, un momento particolare che ha segnato il vostro percorso.

Ci piace ricordare la prima volta che abbiamo portato la nostra idea fuori dalla nostra isola. Abbiamo partecipato come espositori agli Experiment Days 2015 a Milano e, coinvolti anche dagli organizzatori, siamo saliti sul palco per discutere ad una tavola rotonda in cui erano convolti quelli che, all’epoca e tutt’ora, erano per noi dei riferimenti e, in ambito italiano, tra i maggiori esponenti sul tema dell’abitare collaborativo: Housing Lab e Cohousing.it di Milano, e i promotori del progetto del Cohousing Numero Zero di Torino. Chiaramente, appena trentenni e con un progetto che forse era ancora un concept più che un’idea davvero compiuta, avevamo la sensazione di non essere al livello dei nostri interlocutori, ma al contrario il dibattito è stato molto interessante, anche noi abbiamo potuto dire la nostra e, soprattutto, siamo scesi dal palco con sensazioni positive e con l’apprezzamento per la nostra iniziativa da parte di quelli che, per noi, erano quasi dei guru sul tema del cohousing.

Cosa manca, oggi, in Sardegna perché un serio progetto di abitare collettivo possa svilupparsi?

A voler essere sinceri probabilmente i tempi sono maturi, le persone si interessano sempre maggiormente al tema e la nostra isola rappresenta un luogo fertile per sviluppare diverse tipologie di abitare collaborativo, dal cohousing in città all’ecovillaggio in campagna, tanto che spesso ci contattano dal continente per sondare la possibilità di realizzare un progetto in Sardegna – il mito del mare, poi, è sempre un buon biglietto da visita. Ciò che manca è, probabilmente, un ulteriore passo che trasformi l’interesse in volontà: infatti, la realizzazione di un progetto di abitare collaborativo richiede un forte intento da parte di chi vuole andare a vivere insieme. Noi, come associazione, cerchiamo di favorire la creazione di gruppi e di progetti, ma non possiamo sostituirci alle persone che devono essere le prime promotrici.

Quanto le vostre radici e le vostre origini isolane hanno influito sul vostro percorso professionale e culturale?

Il punto di vista forse è diverso, il percorso che cerchiamo di portare avanti si basa sulla nostra forte volontà di provare a realizzare le nostre idee e i nostri propositi qui, a casa nostra, e non arrenderci all’idea che in Sardegna non c’è la mentalità, che i Sardi non sono fatti per questa tipologia di progetto, e così via. Vogliamo smentire l’idea che qua le cose non si possono fare per questioni genetiche e insite nel nostro sangue. Indubbiamente ci sono delle questioni culturali da affrontare, ma la cultura è cultura perché è in continua trasformazione, di pari passo con l’evoluzione della società e delle persone che la costituiscono. 

HOMU, uno dei vostri ultimi progetti, il gioco da tavolo cooperativo per immaginare di costruire il proprio progetto di abitare collettivo. Di cosa si tratta e dove lo presenterete?

L’idea è stata quella di creare un gioco per informare e formare sul cohousing. Tutto è partito da un gioco-laboratorio, RE.PLAY, che tutt’ora proponiamo nelle nostre attività comunitarie e nelle scuole, che con il supporto di Alessia Luca, game designer, e Marina Brunetti aka Marinetti, illustratrice, si è trasformato in un gioco da tavolo cooperativo. I giocatori si immedesimano nel ruolo di cohouser e, collaborando assieme, si cerca di investire e realizzare i servizi e gli spazi del proprio cohousing con lo scopo di fare il maggior numero di punti e, ovviamente, vincere insieme. Ci sarebbe tanto da dire sul gioco, ma preferiamo parlarne dal vivo: abbiamo fatto una prima presentazione a Cagliari, nel centro di quartiere Mu.Be di Mulinu Becciu in via Carpaccio, il 12 febbraio; la prossima tappa sarà a Guspini, presso il Mulino Garau, sabato 4 marzo alle 15.30; a seguire abbiamo in programma, con date da destinarsi, di fare una presentazione a Sassari e a Sinnai. Oltre a presentare il gioco, organizziamo i tavoli per consentire alle persone di provare il gioco e essere cohouser per un giorno. 

Domanda di rito delle nostre interviste: parlando di musica, quali sono gli artisti/musicisti che non mancano mai sul vostro giradischi?

Siamo cinque componenti, con gusti tra noi molto diversi, per cui è difficile specificare uno o più artisti che possano essere rappresentativi per tutti. Piuttosto, possiamo dire che amiamo ascoltare le playlist selezionate da una radio indipendente con cui, chi più chi meno, abbiamo a che fare, la irrational Radio pigr.eco.

Crediamo nel qui ed ora! Quali sono i vostri progetti per il presente?

In questo momento ci stiamo dedicando a due filoni principali. Il primo riguarda la promozione e il supporto alla realizzazione del cohousing, con una ridefinizione delle nostre strategie e proposte per consentire alle persone di portare avanti progetti di coabitazione; queste novità verranno presto pubblicate sul nostro sito web. Il secondo riguarda l’educazione al tema dell’abitare insieme per i più piccoli, attraverso laboratori e la partnership con alcune realtà sarde in progetti destinati ai più giovani, di cui un esempio è il progetto OUTSIDERS, in partenariato con Pantarei Sardegna (capofila), Sardex, CRS4, TutteStorie, Comune di Cagliari, l’Istituto comprensivo Santa Caterina, Fondazione Zancan e il Centro di Giustizia minorile. 

 

 

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