EXXXTRA SPECIAL INTERVIEW. le Rime di File Toy si tingono di 8 colori nella wall of fame del rap. A cura di Martino Vesentini

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“8 Spray” sono i colori che si è sempre portato in Yard: Over Line, Out Line, riempimento, luci e sfondo. “8 Spray” è anche il titolo del suo nuovo album dalle atmosfere decisamente boombap, uscito il 24 Marzo per Glory Hole Records. Lui è un Writer, ma anche un Rapper. Lui è Matteo, conosciuto anche come File Toy.

Come Nasce File Toy e il rapporto con l’Hip Hop?

Nasce tutto quando ero poco più di un ragazzino, avrò avuto 11-12 anni e c’erano dei ragazzi che stavano dipingendo la discoteca che all’epoca era di mio zio, erano ragazzi che già conoscevo ma era la prima volta che li vedevo fare graffiti. Io dapprima guardavo, poi divenni il cosiddetto “mulo”, con lo zaino dentro alla ferramenta, loro me lo riempivano di spray e poi mi dicevano “Corri!”. Poi da li mi hanno insegnato la mossa, ho iniziato a fare le prime tag, poi sono nati i primi freestyle, ma il primo amore sono stati i graffiti.

Ascoltavo già parecchio rap, sempre grazie a mio zio che, avendo un locale, possedeva qualcosa come 40.000 dischi, da De La Soul a Nas, Tupac, Snoop Dogg, un sacco di Soul, insomma ascoltavo tutto ciò che usciva. Infatti a casa, come dono di compleanno, ho un “Ready To Die” originale regalato proprio da mio zio.

Dal tuo precedente album “Euterpe” sono passati quattro anni. Qual è stata l’ispirazione che ti ha portato a scrivere “8 Spray”

Dopo “Euterpe” ho fatto uscire giusto un po’ di singoli, ma niente di che. Poi è arrivata una batosta sentimentale abbastanza pesante, mi sono lasciato con la mia donna dopo dieci anni, e non avevo proprio intenzione di fare un disco. E’ venuto Gian Flores a propormelo, è li per li ho risposto “Perché no?” Ho voluto metterci dentro tutto quello che sono io realmente, allontanando tutto ciò che era successo, per raccontare Matteo, attraverso i graffiti, dal giorno uno ad oggi. Dal male fino alla rinascita, questo è il senso di questo nuovo lavoro.

Com’è nata la collaborazione con Gian Flores?

Ma guarda, lui stava collaborando con Claver Gold, io invece lavoravo su un singolo, “Sun Beach”, che parlava della mia città. Avevo questo sample che mi piaceva e cercavo qualcuno che lo trasformasse in un vero e proprio beat, e si è proposto lui. E’ nata così, gli sono piaciuto molto come rapper, a me è invece piaceva il suo modo di lavorare, per cui quando mi ha detto che avrebbe fatto volentieri tutto un disco con me rispondere si è stato molto immediato e naturale. Questo lavoro mi piace molto quindi, a quanto pare, è stato un bene farlo insieme!

 In “Che te Importa” citi un verso di DJ GRUFF. Hai qualche legame particolare con la Vecchia Scuola?

“Quando come Tenco, pure con i Lenco, mi ti gioco un Califano misto Gianco…”. “MC Scarso per me è un pezzone! Il mio rapporto con quel periodo è che io fondamentalmente sono dell’81, quindi quella roba l’ho ascoltata mentre usciva. Sono passato dai Sangue Misto ai Colle, questa è stata la mia infanzia se vogliamo, e quei ricordi alla fine rimangono i più belli. Poi calcola che abbiamo una chat dove ci siamo io, Kenzie e Claver dove ogni tanto qualcuno manda un vocale con l’attacco di un pezzo e gli altri devono rispondere. E sono sempre pezzi tipo pre-99. Ci prende proprio bene, e alla fine è un peccato che sia andato a perdersi quel tipo di rap li.

Un’altra citazione che ho apprezzato molto è all’inizio di “Matteo”, dove riprendi le parole di Kaos, un altro dei pesi massimi del rap italiano. Quanto ti ha ispirato questo artista, che ha scritto una delle pagine più significative legate al Writing, come “Il Codice”.

Kaos è parte di quel circolo della Vecchia Scuola che mi piace tantissimo, è un grandissimo rapper e quel pezzo è una bomba di traccia che in qualche modo può avermi ispirato, ma se mi chiedi la vera Musa di questo progetto ti cito questi versi: “Lattante fatti le dovute vasche a nuoto / Impara dai racconti dei vecchi intorno al fuoco…”. “Street Opera” penso che sia il pezzo più potente, emblematico, assoluto del Graffiti-Rap. Mando un bacio anche a Stokka e Madbuddy con “Nero d’Inferno”, che tra l’altro dentro al loro video c’è praticamente mezza mia Crew, però il pezzo di Lord Bean corrisponde esattamente al tipo di Rap che ho in testa.

Ogni pezzo dell’album contiene lo skit di qualche tuo amico. Che significato hanno per te questi inserti?

Ogni skit è un amico, un writer, delle vere e proprie bombe di artisti, tutti quanti. Partiamo da Moe, style-letter epico, colorazioni epiche, un mostro. Passiamo poi a Reks, un super fratello a cui voglio un bene della Madonna, anche lui attitudine cento e uno stile micidiale. Vela è uno degli ultimi che ho conosciuto, a lui ho chiesto la grafica per la maglia perché la prima volta che l’ho visto, in un VHS, impazziva davanti ad un whole train del Trota, con sotto rime e numeri e la strofa di Piotta che spacca. Mi è rimasto sempre in testa, oltre al fatto che faceva ‘sti pannelli micidiali, il primo ha questo triangolo massonico che mi ha stregato, ha insegnato lo stile ad un sacco di persone. Poi c’è Spero, a cui ho messo lo spray per la prima volta in mano, e infatti è diventato un altro style letter assurdo che anche New York se lo sogna.

C’è Write che penso sia uno dei Bomber contemporanei più potenti della storia, attitudine e sfacciataggine a mille, mi piace tantissimo. E poi c’è Wany, e a lui che vogliamo dire? Qualsiasi cosa faccia la fa diventare Arte ed è una bomba… lo vidi da piccolino su una fanzine la prima volta. Poi c’è The Masterpiece, il Chob, che ho incontrato in un periodo un po’ strano per entrambi, ma lo ricordiamo con un sorriso, che è un po’ il sorriso dei sopravvissuti. Lo devo ringraziare perché è merito suo la mia evoluzione della lettera, d’altronde stando a contatto con un mostro del genere è impossibile non migliorare. E infine c’è Dien, che è anche un rapper, è della mia crew, ma non vi dirò mai chi è! Ah e non posso dimenticare lo skit del mio cane… amore, solo amore!

Riesci a spiegare le sensazioni che si provano a chiudere una murata o un vagone e scrivere un pezzo rap?

Guarda, secondo me si tratta di tre cose diverse. La murata per me è sinonimo di festa, ma anche tranquillità, pacatezza, alla fine puoi pure mettere una brace e via, è proprio spensieratezza allo stato puro. Il pannello invece c’ha quel misto di sfacciataggine, ma allo stesso tempo di paura, perché altrimenti saresti un folle a non averne, ed io di folli ne ho conosciuti pochi. Però è una paura che serve, che ti tiene sempre in guardia, che ti fa controllare da tutte le parti e che ti permette di arrivare incolume anche dopo 2000 pannelli.

A me hanno blindato solo una volta sulla Metro di Milano, e tra l’altro non era neanche colpa mia, ma sai succede, fa parte del gioco. Dopo la paura sale forte l’adrenalina, che scende non appena finisci, e poi mentre riguardi ciò che hai fatto la sensazione è incredibile, tanto che non riuscirei a darle un nome. Forse andrebbe chiamata proprio “pannello”!

Scrivere un pezzo rap invece è proprio strano, io di solito mi sento tranquillo perché parlo di me, di ciò che mi succede, per dirti se parlo di droga parlo della droga che ho assunto io, o della droga che ha fatto danni intorno a me e ciò che mi circonda. Io parlo sempre della mia visione nei pezzi, a me quello che fanno gli altri interessa ben poco. Ho quella tranquillità un po’ da sopravvissuto, e poi c’è sempre quell’attenzione particolare nel raccontare le cose così come sono successe, dando il giusto peso alle parole perché sono cose che hanno un valore. Se gli altri non lo percepiscono, non ha senso, ci vuole consapevolezza, ecco forse questa è proprio la parola più indicata!

Molti rapper hanno dichiarato che per trovare spazio nel business musicale è necessario trasferirsi a Milano. Cosa ne pensi?

Io penso che spostarsi per inseguire i propri sogni sia sempre un bene. Dedicando la mia vita ai Graffiti, per fare tutti i pannelli che ho fatto, alla fine sono stato sei anni a Bologna, poi a Milano, e nel frattempo ho comunque viaggiato tanto, alla ricerca di posti dove dipingere, non solo in Italia ma anche in Europa. Per cui, se l’obiettivo è sfondare nella musica, beh zio allora devi andare a Milano, perché ora gira tutto li intorno. Poi io non so se ce la farei, ho già 42 anni, a Milano forse mi dovresti dare un bastone e una sedia a rotelle, e mi metterei li in un angolo… Ma a parte gli scherzi, credo davvero che spostarsi sia un bene!

Non sono molti gli artisti che oggi stampano il proprio disco su supporto fisico, perché hai deciso di farlo, curando in maniera particolare il packaging, con adesivi e grafiche particolari?

Lo so, ma io sono un anziano! Sono cresciuto col Punk, nel periodo in cui quando aprivi i dischi ci trovavi dentro poster, adesivi, pure Fanzine di Graffiti. Sono nato con tutto questo trauma , per cui ancora oggi se apro un packaging e ci trovo degli adesivi sono come un bimbo a cui regalano la cioccolata. E poi, sai, ho fatto un disco sui Graffiti che suona molto stile anni Novanta, per cui volevo quella roba li, e per farla mi sono sbattuto per bene, floppando tutte le copie a mano, tutti i trow up che ci trovi sono diversi, fatti col pennarello dello stesso colore del packaging, grazie ai ragazzi del The Graffiti Bench. Insomma ho un po’ queste fisse, mi piacciono troppo queste cose! Alla fine è come a Pasqua, tu compri l’uovo per la sorpresa o per la cioccolata, se decidi per la cioccolata ti trovi comunque la sorpresa, e viceversa, sono sempre due cose in una! Son cose che mi gasano parecchio!

Prevedi di portare questo album su qualche palco live?

Ho appena chiuso il Tour con Claver, quindi in realtà il disco l’ho già portato un po’ in giro, però stanno arrivando anche richieste per date solo mie, quindi credo proprio che ci vedremo in giro, in situazioni dove ci sarà presente sia la Musica che i Graffiti. Che dire… sono proprio felice di aver fatto un disco così!

 

 

 

 

 

 

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