EXXXTRA SPECIAL INTERVIEW. Aosta sul beat. Sago Il signore delle Alpi, il rap e la luce della libertà. A cura di Martino Vesentini

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Ho sempre immaginato la Val d’Aosta come un posto lontano, quasi isolato, un microcosmo impermeabile a ciò che succede in qualsiasi altra parte del mondo. Eppure l’Hip Hop è arrivato anche in quella terra, come in ogni angolo del mondo. Proviamo a farcelo raccontare da uno dei protagonisti della scena di Aosta, Andrea aka Sago, uscito il 26 gennaio con l’album “The Renzo”, autoproduzione che potete trovare sia su CD che sulle principali piattaforme digitali. [ Martino Vesentini ] 

 Com’è arrivato l’Hip Hop fino ad Aosta e perché ti ha colpito?

In generale penso che siano state la radio e la tele a far conoscere l’Hip Hop nella mia città. Quando ho cominciato io ad interessarmi a questo mondo era l’inizio degli anni ’90 e avevo 13/14 anni, ma c’era già in giro per Aosta qualcuno più grande che ascoltava rap già dagli anni ’80. Erano nomi leggendari, che ho avuto la fortuna di conoscere solo anni dopo: mi riferisco in particolare a DJ Pillola, ancora oggi attivo e rilevante. Personalmente ho conosciuto l’Hip Hop grazie al passaparola: avevo un amico alle medie che mi parlava dei rapper dell’epoca: Ice – T, Snoop Doggy Dogg, ecc. Andavo in negozio e compravo le prime cassettine, anche le prime cose in italiano come Frankie Hi NRG e gli Otierre. Ma quando uscirono i Sangue Misto per me è cambiò tutto. Questo genere mi colpiva per la sua natura ritmica, per la parlata scandita che si incastrava sul beat, per i contenuti che mi trasmettevano l’urgenza di comunicare. Ascoltare quei dischi mi dava un’emozione indescrivibile, ma non mi passava neanche lontanamente per il cervello l’idea di farlo anch’io.

Quando e come nasce l’esigenza in te di scrivere canzoni?

Inizialmente era un modo per stare con gli amici e creare qualcosa di nostro. Posso dire di aver iniziato proprio grazie a loro. Passavamo tanto tempo insieme, eravamo 4/5 appassionati di questo nuovo genere, e insieme abbiamo cominciato a scrivere rime e registrare in camera per creare il nostro primo mixtape. Non sapevo cosa fossero metriche, quartine, strofe… fortunatamente avevo il senso del ritmo e così riuscivo ad andare a tempo in modo istintivo. Ci sono voluti anni tuttavia, prima di raggiungere la maturità per scrivere delle vere e proprie canzoni. L’esigenza che mi ha guidato fino a qui credo sia la passione di raccontare storie, unita al desiderio di sentirmi vivo dentro quello che scrivo e che canto.

L’Album “The Renzo” si apre con “Meglio Così” e con il verso “Nel Rap io rappresento Aosta”. Ti senti in qualche modo un portavoce della tua città? E quanto è ancora importante il concetto di rappresentare?

Sicuramente mi sento di rappresentare la mia città: sono nato e cresciuto qui e so che la mia storia è quella di tantissimi altri ragazzi nati qui da genitori non valdostani. Il senso di straniamento che si vive crescendo lontani dalle proprie origini, il combattimento con una città piccola e chiusa, il bisogno di trovare se stessi in qualcosa che non c’entra con le tradizioni del posto perché non sono le tue, riuscire a fare la pace con tutto questo e abbracciare nuovamente la tua città sentendotene finalmente parte… continuare a misurarti con la tua arte anche se non ci sono grossi riconoscimenti che ti aspettano e finalmente trovare un equilibrio: sono tutte fasi che ho vissuto e che credo in molti abbiano vissuto vivendo qui, per questo mi sento di rappresentare la mia città e chi la abita. Credo davvero molto in questo concetto che, mi rendo conto, era molto presente nell’Hip Hop con cui sono cresciuto, ma che oggi per me è diventato molto reale, semplicemente perché non ho mai smesso di misurarmi con la realtà attraverso l’arte del rap.

Ciò che mi ha colpito maggiormente dei tuoi pezzi è che si discostano completamente da ciò che potrebbe ascoltare oggi un appassionato di rap. Quasi tutti scrivono di soldi e successo, di bella vita e calici di Champagne, mentre tu rispondi raccontando la tua realtà, ad esempio con un pezzo come “Anto” in cui parli di tua zia. Come nascono canzoni come questa o come “Il Signore delle Api”?

Sicuramente le canzoni a cui ti riferisci possono nascere oggi che ho raggiunto una maturità tale che mi permette di trasformare le mie esperienze personali in storie che tutti possono capire. Eppure, davvero, non c’è nulla di premeditato, parte tutto da una rima, da un’ispirazione… tiro giù il testo e poi nel caso specifico di “Anto” e de “Il signore delle api” non pensavo neanche di registrarle. Ora che invece ricevo feedback dalle persone più disparate che si riconoscono in una o nell’altra canzone, mi rendo conto che ho fatto bene a pubblicarle. Mi da forza trasformare le situazioni che ho vissuto in storie da raccontare, è anche un modo per metabolizzare pezzi di vita segnati dalla sofferenza. Inoltre non riuscirei a seguire i canoni più attuali del rap: Aosta è piccola, ci si conosce un po’ tutti, tutti sanno come vivo, raccontando di soldi e successo non sarei credibile.

Parlami un po’ delle produzioni dell’album, dove è stato registrato, con quali mezzi tecnici e con chi hai collaborato?

Ho registrato tutto al TDE Studio di Momo Riva, ad Aosta, la maggior parte dei beat sono suoi. Momo non è il classico producer, lui è prima di tutto un musicista: suona basso, batteria, chitarra e in più gestisce il suo studio. L’influenza dei musicisti è molto importante per me, adoro il linguaggio universale della musica e cerco sempre di imparare il più possibile dai musicisti che frequento. Alcuni di loro hanno suonato nel disco, ci tenevo ad ospitare persone di grande talento come la violinista Sylvie Blanc, i chitarristi Stefano Réan e Christian Curcio, il bassista e producer Chris Costa, il saxofonista Luciano De Maio. E poi le voci: Ylenia Mafrica, Enrico Bandito, l’Antico Sem; ho scelto di collaborare con le persone che conosco e che stimo sempre nell’ottica di rappresentare la nostra realtà, piccola, ma molto vivace.

Tra le citazioni dell’album, menzioni Lorenzo, ma anche DJ Gruff. Chi sono gli artisti che ascolti e che più ti hanno stimolato?

Mi diverte molto quella rima, è ovviamente un po’ una provocazione: mi rendo conto di aver messo insieme due poli opposti, i due estremi di questo genere in Italia. Ho ascoltato entrambi e penso che mi abbiano influenzato molto: uno quando ero molto piccolo e ancora non sapevo nulla dell’Hip Hop, l’altro quando ero un giovane integralista che impazziva per i Sangue Misto e per tutto quello che hanno poi fatto come singoli i tre membri del gruppo. In ogni caso non rinnego nessuna delle due fasi, anzi: tenere insieme i poli opposti è sempre stata la mia tendenza, nella vita e negli ascolti musicali, quindi per tornare alla tua domanda posso dirti che non ho barriere, mi può stimolare il funk anni ’70, come anche la trap più stereotipata, dietro ogni brano c’è sempre qualcosa da capire.

Recentemente sono rimasto colpito da una notizia che ho letto sul web, a quanto sembra Wall Street sta trasformando la musica nella prossima bolla speculativa finanziaria, con investitori che hanno preso d’assalto il mercato dei diritti d’autore.Cosa ne pensi?

Non lo sapevo, è una questione molto interessante: in pratica conviene investire sull’acquisto dei diritti d’autore piuttosto che sui beni immobili? Il mondo cambia in modo pazzesco! Sicuramente la musica è da sempre un business, ma fortunatamente questo non è un problema che mi tocca da vicino, staremo a vedere.

Nel pezzo che chiude l’album canti “sto aspettando il sole ma non arriva più”. Qual è la luce che ti manca?

Oltre ad essere una citazione del celeberrimo brano di Neffa, quella frase è anche una fotografia di quello che provo: mi sento ancora lo studente in attesa del bus che aveva nelle orecchie le cuffie con quella canzone, in fondo per me non è cambiato molto da allora. L’amore per questo genere e per la musica in generale non si è mai spento, ecco perché mi sento ancora come quel giovane alle soglie dell’età adulta, con quell’emozione gigante legata alla scoperta di una passione viscerale. Quel genere di rap che ascoltavamo era sicuramente legato ad un disagio, ad una malinconia, ed è la stessa che sento ancora oggi, quel blues che ti influenza e che ti tiene sempre con i piedi per terra. La luce che mi manca e che rende il rap ancora attuale oggi è la luce della libertà, abbiamo e ho ancora troppa paura di essere davvero libero.

Cosa ti aspetti da questo Album?

Attraverso questo lavoro spero di riuscire ad incontrare più persone, spero di portare le mie storie anche oltre il mio contesto di riferimento, superando appunto la paura del giudizio e trovando il coraggio di osare di più.

 

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