exxxtra special interview. V-Troit , Capstan racconta la sua mission nel Funk. a cura di Martino Vesentini

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“Non capita tutti i giorni…” così cantava Edoardo Bennato. In realtà negli ultimi anni abbiamo assistito a diverse collaborazioni tra artisti americani e italiani, penso ad esempio a Noyz col feat di Raekwon, Gué e Jadakiss o Sfera insieme a Future. Non me ne vogliano i protagonisti di questi tandem, ma la sensazione è che si tratti di puro business discografico, per carità nulla di strano, fa parte del gioco. Quella tra Verona e Detroit sembra proprio avere un sapore diverso, infatti è frutto di una connessione che affonda le radici molto più in profondità, come ci spiega il buon CAPSTAN.

 

 

Parte tutto nel 2016, se non ricordo male, FRANK N DANK vennero invitati a Verona per un Live al Party di MOVE SHOP, per cui grazie a DJ ZETA, io e altri ragazzi della Crew, visto che parlavamo bene l’inglese, li abbiamo portati un po’ in giro per un paio di giorni, sai le classiche cose, mangiare in osteria, passeggiate in centro, tra una birretta e un blunt, una cosa tira l’altra e così è nato prima di tutto un bel rapporto umano tra noi. Abbiamo aperto il loro concerto alla Festa, loro si sono presi bene, in particolare DANK, tanto che a fine serata mi ha chiesto di inviargli qualcosa per una possibile collaborazione. Li per li ho pensato che fosse solo la classica fotta post-live, però, per non saper ne leggere ne scrivere, qualche settimana dopo gli ho mandato una cartella intera di Beat.

Dopo qualche giorno di completo silenzio, quando già pensavo che non mi avrebbe mai risposto, una mattina accendo il PC e mi ritrovo nella mail tre pezzi già fatti, con strofe e ritornelli. Negli anni successivi ci siamo sempre tenuti in contatto, collaborando a distanza, poi ci siamo rivisti a Londra durante il tour di JAY DEE MADE THIS, beccandoci anche con MANNY che ai tempi viveva e lavorava la. Siamo stati alla primissima data europea di quel Tour, nel club sotto lo stadio di Stamford Bridge, un backstage che sarà stato tipo il doppio più grande di casa mia, per farti capire.

Come mai è passato così tanto tempo dall’inizio della collaborazione prima che si concretizzasse tutto?

Sai lavorare a distanza porta poi a mille problemi e sfighe, tra file persi nei vari traslochi, fino ad arrivare poi al 2020 quando sembrava finalmente tutto pronto ed è arrivato il Covid a rovinarci i piani. I ritardi si sono poi accumulati per mille altri motivi, fino all’inizio di quest’anno quando ho deciso di riprendere in mano tutto per chiudere finalmente il cerchio. Il tutto è coinciso con il rientro nel gioco di DJ ZETA, che con una fotta pazzesca ha rimesso in pista il discorso VIBRARECORDS e mi ha proposto di uscire sotto la sua etichetta.

Sta per arrivare quindi qualcosa in più del singolo appena pubblicato “Now Blow”?

Si dopo questa uscita, che è un po’ il singolo banger del progetto, uscirà un EP intitolato “V-TROIT”, in anteprima su vinile con sei tracce più due strumentali, poi dal 12 gennaio lo troverete su tutte le piattaforme digitali, distribuito sempre da Vibra in collaborazione con Believe. Ci tengo a sottolineare che il disco è prodotto da Dave The Mojo, Non Dire Chaz, Jimbo Da Pot e Manny Mani, che ha curato anche il mixaggio; il Master per il vinile è invece di Bassi Maestro e l’artwork di Tommy Verità.

Ci sarà qualche possibilità di vedervi Live?

L’idea è di riuscire a riportarli in Italia, non sarà così facile ma nemmeno impossibile, qualcosa ci inventeremo di sicuro!

Una curiosità: noi siamo da sempre abituati all’ascolto del Rap in inglese, com’è stata la loro reazione nei confronti delle tue rime in italiano?

Guarda io nel mio rap, fin dall’inizio, ho sempre inserito parole in inglese, proprio per una mia predilezione nei confronti della lingua, da ragazzino, per dirti, al calcio ho sempre preferito il basket ed il baseball, traducevo i nomi delle squadre, insomma avevo ed ho una passione molto forte per la cultura americana. A loro tutto sommato piaceva anche sentire le mie robe in inglese, ma si gasavano molto di più se rappavo in italiano, avvertivano che c’era qualcosa nel mio flow che loro definivano “atomico”! Per cui alla fine è proprio vero, come diceva il buon vecchio Neffa, “se non capisci le parole, puoi sentire il Funk!”

Ultima domanda con salto all’indietro nel tempo: come nasce questa passione per l’HIP HOP?

Da ragazzino tra tutta la musica che girava in radio preferivo il Rap, perché aveva delle belle batterie pesanti, tante parole e in quello che dicevano le canzoni mi ci rispecchiavo. Ricordo che a 8/9 anni beccai la cassetta di “Strade di Città” rubandola a mio zio, forse però la primissima cosa che mi folgorò furono gli Scratch, credo fosse un video di Prezioso.

Ai tempi però comprarsi una consolle per fare il DJ non era una passeggiata, per cui il mio approccio al lato creativo della musica è sfociato con il Rap, la scrittura, che poi è diventata anche un lavoro nel campo della Comunicazione.  A 13/14 anni cominciai ad andare in Skate, per cui anche quello mi portò ad avere contatti con persone con la mia stessa passione, poi a inizio 2000 primi tentativi veri e propri, primi Demo, da li ho continuato a scrivere fino ad arrivare a incrociare Sonbudo e Zampa, con cui è nata un’intesa prima di tutto umana e poi musicale, per cui spesso ci siamo ritrovati a fare pezzi assieme.

(se non lo avete ancora fatto ascoltatevi la traccia “Better Dayz” dall’ultimo album di ZAMPA!).

Ho sempre continuato a scrivere, perché alla fine è come un demone che hai dentro, dopo un po’ senti che hai qualcosa che ribolle dentro da cacciare fuori in qualche modo. Poi ritengo di avere un approccio molto istintivo e legato indissolubilmente alla Musica, per cui difficilmente scrivo senza il Beat, perché credo sia proprio il suono ad avere già un mondo dentro che va interpretato poi con le parole.” Insomma, alla fine come è scritto nel comunicato stampa di V-TROIT…

“Ci è voluto un po’ di tempo, ma non poteva esserci momento migliore.”

 

 

 

 

 

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