EXXXTRA SPECIAL INTERVIEWS. Suite’s Brothers, I Fratelli che predicano nel deserto. a cura di Martino Vesentini

No Rating

7358 sono i km che separano New York da Modica. Nella City 50 anni fa è nata una Cultura che ha fatto il giro del mondo ed è arrivata, trovando terreno fertile, anche in un piccolo angolo di Sicilia. Qui sono cresciuti e rappresentano per l’Hip Hop i Suite’s Brothers, un duo composto da Shebab Alias Lou Bandy al microfono e LeChat Beat alle produzioni. Fresco di uscita, ecco il loro quarto Album “Come Predicare nel Deserto”, un buon motivo per parlarne direttamente con i protagonisti.

“anche se nessuno dovesse ascoltarti, anche nell’angolo più remoto della terra, continua a fare ciò che fai perché ci credi.” 

Partiamo dall’inizio: come arriva la cultura Hip Hop fino a Modica e cosa vi colpisce in particolare?

La cultura Hip Hop a Modica è arrivata sull’onda lunga del Rap negli anni 90, grazie ai pochi che la conoscevano e l’hanno tramandata.  Possiamo considerarli come “pionieri locali” e grazie a loro siamo riusciti a conoscere qualcosa in più; organizzavano le prime Jam alle quali partecipavano artisti di un certo calibro come ad esempio Kaos One, Inoki e Bassi Maestro.
Ciò che ci ha fatto avvicinare all’Hip Hop è stato il fatto di non sentirsi sbagliati, e di poter esprimere liberamente la propria opinione sotto tutti gli aspetti, la sana competizione, il mettersi in gioco e soprattutto lo spirito meritocratico della cultura.

Come e quando nasce il vostro sodalizio artistico e com’è avvenuta la scelta del nome?

Si può dire che ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme nello stesso quartiere e tramite amicizie comuni, quando iniziammo ad approcciarci al rap, ci hanno presentati.  Cominciammo a fare i primi lavori sotto il nome di “Karogna & Shebab” e dopo un periodo di tempo abbiamo deciso di cambiarlo in “Suite’s Brothers”, Suite’s inteso come “stanza” dalla quale abbiamo iniziato il nostro percorso musicale e artistico, e Brothers perché praticamente siamo come fratelli, il genitivo sassone è l’appartenenza e il rapporto affettivo che ci lega da anni a quella stanza da dove tutto è partito.

Passiamo al vostro ultimo progetto, come nasce il titolo e da dove parte l’idea/l’esigenza di scrivere un nuovo album?

“Come Predicare nel Deserto” nasce innanzitutto dall’esigenza di fare musica, come sempre.  Proviene dalla passione comune di due amici che da più di 15 anni hanno un’unica fissa: il Rap.  Il titolo incarna appieno l’essenza del disco, che si pone come obiettivo quello di lasciare all’ascoltatore un messaggio: “anche se nessuno dovesse ascoltarti, anche nell’angolo più remoto della terra, continua a fare ciò che fai perché ci credi.”  “Come predicare nel deserto” è uno state of mind, una mentalità; non proprio un disco che punta a scalare le classifiche.

Sono rimasto colpito dai vostri pezzi perché sembrano una perfetta alchimia tra beats e testi… come nascono solitamente le vostre canzoni?

Le nostre canzoni nascono in modo molto naturale, non ci prefissiamo in genere un’idea dalla quale può nascere quello che sia un Album, un EP o un singolo stesso, tutto segue il suo corso e tutto è curato nei minimi dettagli.  LeChat Beatz produce, Shebab scrive, easy. Ovviamente tutto tiene conto del periodo in cui viviamo, delle nostre emozioni, dell’ispirazione del momento, delle influenze musicali e del mondo che ci circonda.

Produzioni: com’è cambiato il modo di fare musica in questi anni di grandi progressi tecnologici? Se doveste scrivere la ricetta del Beat perfetto quali sarebbero gli ingredienti fondamentali?

Come ben sappiamo la tecnologia è un’arma a doppio taglio, da un lato da a tutti la possibilità di mettersi in mostra o comunque di ritagliarsi il proprio spazio. Chiunque oggi può fare un pezzo e pubblicarlo, basta davvero poco. Dall’altro lato tutto ciò non giova all’arte o alla musica in sé. Non è detto che fare tanta musica sia sinonimo di qualità, anzi, tutto l’opposto; molto spesso ci imbattiamo in album prodotti in tempo record con le più grandi aspettative che sono il nulla più totale.  L’ingrediente principale per un beat perfetto è l’originalità, una punta di Old School e innovazione QB.  Di sicuro c’è una profonda ricerca di suono e cura del sample amalgamati alla giusta batteria e al giusto mood, che rende appunto unica la produzione e caratterizza il nostro stile e i nostri progetti.

 Testi: trovo molto interessante che raccontiate il vostro vissuto e che la vostra scrittura sia sempre molto intimista, mai autocelebrativa. Cosa vi spinge ad esprimervi attraverso l’arte del Rap?

Credo che sia la voglia di raccontare, di esprimersi e di farlo trovando una via diretta, ma mai banale.  Il  Rap ti permette di essere descrittivo, di imprimere immagini forti in chi ascolta, di essere personale come nessun altro genere, dato che scrivi e interpreti ciò che tu vivi. La credibilità credo sia un punto cardine per chi intraprende questa strada, una credibilità sana dettata dal proprio modo di essere. Forse per questo non ci autocelebriamo, perché non è nella nostra indole.

Nell’album ci sono alcuni inserti molto interessanti, estratti da interviste a Franco Battiato, vi va di raccontarci come e perché li avete scelti?

La scelta di inserire parti di intervista di Franco Battiato si ricollega all’aspetto filosofico dell’album, dato che lo consideriamo una sorta di filosofo moderno, una “guida spirituale” e un grande artista con cui siamo cresciuti e che inevitabilmente ci ha influenzato.  I punti in comune che sono emersi tra il disco e l’artista sono il portare avanti ciò in cui si crede non curandosi delle mode e facendo semplicemente la musica che ti piace, cercando nuove strade ma rimanendo fedeli a se stessi.  Questo ha reso Battiato un grande innovatore.

Oltre a lui, ci sono altri artisti che hanno fatto parte dei vostri ascolti e che vi hanno ispirati dal punto di vista artistico?

La lista è molto lunga, oltre al rap sia italiano che americano le nostre influenze musicali sono tra le più varie: da Battisti e Lucio Dalla, dai Prodigy e i Metallica, dai Pink Floyd e i King Crimson, fino a Chet Baker e Billie Holiday…Insomma come puoi ben capire l’ispirazione può arrivare da qualunque genere, abbiamo gusti molto variegati che ci permettono di poter contaminare il nostro rap.

Cosa rappresenta l’immagine in copertina del vostro disco?

La copertina riproduce dal punto di vista grafico alcuni dettagli dei brani contenuti in esso, oltre all’ambientazione e all’immaginario, ma solo ascoltando attentamente l’album possono essere compresi.  L’intero artwork è stato curato da Elisea “Elsi” Paolino.

Dove avete registrato? Autoproduzione o Etichetta?  

Il disco è stato interamente autoprodotto e autofinanziato, registrato e mixato al Pausa Studio di Salvo Puma, che ha collaborato in maniera fondamentale al progetto “Come Predicare Nel Deserto”: sapere musicale, scelte stilistiche e carattere del master, linee di basso in alcuni pezzi, insomma, per certi versi un vero e proprio featuring, l’unico in tutto il lavoro.

Domanda d’obbligo in questo momento in cui la musica è diventata quasi esclusivamente liquida: uscirà in copia fisica?

“Come Predicare Nel Deserto” uscirà prestissimo in copia fisica, diciamo entro Aprile. I più fortunati potranno accaparrarsi anche dei poster e un’altra sorpresa che non vogliamo.  Non ci resta che sperare bene e incrociare le dita.

Dal punto di vista logistico immagino non sia facile muoversi dal posto in cui vivete, ci sarà comunque la possibilità di vedervi portare in giro il live del vostro lavoro?

Non ti nascondiamo le grandi difficoltà che abbiamo riscontrato negli anni, sia per la visione del rap che c’è nelle nostre parti, sia per l’aspetto logistico.  Molto spesso ci imbattiamo in soggetti che credono che il rap sia solo vestirsi male, o dire “Yo!” facendo il gesto delle corna e che inevitabilmente non ci danno spazio per suonare nei loro locali.  Nonostante tutto ci siamo sempre dati da fare per suonare dal vivo il più possibile e con un riscontro da parte del pubblico sicuramente positivo, che ci spinge a continuare la nostra ricerca e a sbattere la testa contro le porte chiuse.

 Dopo 2 EP e 4 Album sentite di avere ancora qualcosa da dire attraverso la musica?

Assolutamente si, in primis perché abbiamo sempre la stessa  voglia e la stessa passione di quando abbiamo incominciato e comunque l’esigenza di fare musica è una costante nella nostra vita, ci viene naturale e per il momento non riusciamo a concepirci senza di essa, è parte integrante del nostro vissuto.

 

 

 

 

 

VUOI FARTI RECENSIRE IL TUO PROGETTO ARTISTICO? VUOI UN INTERVISTA ? LA REDAZIONE DI NOOTEMPO WEBZINE RESTA IN ASCOLTO. CONTATTACI QUI , REDAZIONE 

 

Tags