EXXXTRA SPECIAL INTERVIEWS. Dalla Calabria a Milano l’Attitudine Hip Hop in costante evoluzione di Southology. a cura di Martino Vesentini

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Ho scoperto Southology quasi per caso, nei miei soliti viaggi tra le maglie della rete del web, dove spesso trovo storie e persone di grande ispirazione. Più o meno un anno fa rimanevo colpito da un video che girava, sul beat prodotto da Il Torsolo proprio Southology accompagnato da Nico Royale e Inoki, il pezzo era “Southologia”. Da li non ho mai smesso di seguirlo, fino all’uscita del suo ultimo singolo, “Legittima Difesa”, un ottimo motivo per scambiare con lui quattro chiacchiere e per provare a conoscerlo meglio.

 

Partiamo dall’inizio: come nasce il tuo rapporto con la Musica e da dove ha origine il tuo nome d’arte?

Come sai bene, per molti di noi l’Hip Hop non si intende solo come un tipo di musica ma come un’attitudine, una vera e propria lente con cui si guarda alla realtà, qualcuno la definisce una Cultura.

Io mi ci avvicinai da giovanissimo, intorno ai 12 anni, ed effettivamente lo feci proprio attraverso la musica, il Rap. Sto parlando all’incirca del 1994 e quindi all’epoca, diversamente da ora, il Rap in Italia non poteva neppure definirsi un genere di nicchia, era piuttosto una roba da alieni.

La mia attrazione verso il Rap credo fu innata, non riuscirei a spiegarla razionalmente: prima ancora di ascoltare i primi pezzi degli Articolo 31, Otierre, Sottotono, Sangue Misto o Next Diffusion, mi veniva già naturale imitare qualsiasi atteggiamento che avevo visto in tv o sui fumetti e che mi ricordasse la ritmica o lo swag del rapper.

Subito dopo, approfondendo tramite i primi dischi e il magazine Aelle, mi identificai totalmente con questa realtà che per noi rappresentava un punto di rottura con tutta una serie di cose che ci avevano fatto credere riguardo alla musica e non solo: il Rap non era più la musica smielata della tradizione italiana che non ci rappresentava e che veniva prodotta da un’élite di privilegiati; il Rap parlava della verità e lo faceva in maniera semplice, ci dava la possibilità di esprimerci senza intermediari. La cultura Hip Hop in generale con le sue variegate arti insegna a coltivare il proprio potenziale in maniera autonoma.

In quegli anni, ancora tredicenne, conobbi DJ Lugi e tutta la scena cosentina, e nello stesso periodo scelsi il nome di “Nerba”, con cui salivo sul palco e rappresentavo alle jam. Pubblicai un demo nel 1996 assieme al poi celebre Kiave e altri ragazzi, e fino al 2000 ci affermammo decisamente nell’Underground, ma purtroppo dopo poco io uscii dalla Scena per tantissimi anni, pur continuando a coltivare la scrittura in privato. Quando decisi di tornare, pochi anni fa, volevo presentarmi con un nome rinnovato e allora un mio carissimo amico writer con cui sono cresciuto, mi suggerì “Southology”. Sia io che lui avevamo girato mille luoghi e ci eravamo persi un po’ di vista, ma in quel momento ci eravamo ritrovati in Calabria come in un ritorno al nido, e riflettevamo quindi su questo destino di tutti noi cresciuti all’estremo Sud: questa terra sin da piccoli la amiamo e al tempo stesso la soffriamo; da un lato ci penalizza terribilmente e dall’altro ci affila delle armi che altri non hanno. Anche se emigriamo in maniera privilegiata rispetto ai nostri nonni o rispetto a chi oggi emigra in condizioni terribili, ci portiamo dietro ancora quel retaggio dei migranti, nasciamo sapendo già che dovremo andar via da qui per trovare opportunità o anche soltanto per vivere la vita, ma poi alla fine ritorniamo sempre qui in un modo o nell’altro con la speranza di cambiare le cose per poi scoprire che non cambieranno mai.

Diciamo che questa “Southologia”, come la definì poi Inoki quando facemmo un pezzo assieme dopo che si era trasferito lui stesso in Salento, è anche quella più uno State of Mind che va oltre un’origine geografica.

“Legittima Difesa”: produzione, scratch, concept, raccontaci tutto!

Guarda, a proposito di “Southologia” e cioè della necessità sia di lasciare questa terra che di rimanerci, io continuo a fare una vita in cui trascorro alcuni mesi in Calabria per varie responsabilità, ma abbastanza isolato, e il tempo restante al Nord dove cerco di avere una vita sociale e di portare avanti il mio potenziale.

Dopo alcuni anni in cui queste stagioni le facevo a Bologna, pochi mesi fa mi sono spostato a Milano, che già da tempo frequentavo per aver collaborato con artisti e amici come il leggendario Esa, Ekstra Hcb, Looppolo. È stato  proprio quando mi sono trasferito più stabilmente qui che ho scritto d’istinto “Legittima Difesa”: Milano è una città stupenda perché ricca di multiculturalità, opportunità, gioventù, dinamismo e mi ci trovo benissimo, ma è una vera e propria giungla urbana, e soprattutto riflette appieno il problema della guerra sociale che si sta scatenando in Italia. Nel testo parlo di queste cose molto reali, anche ad esempio il problema del lavoro, di trovare casa o delle cose che vedi nei quartieri di periferia, che in me riecheggiano un po’ quello che vedevo crescendo in una regione che di per sé è nella sua interezza una periferia rispetto ai grandi centri economici e culturali del Paese.

Nel frattempo vivendo in città avevo approfondito la mia amicizia con Stoma Emsi, un artista fortissimo che da anni è molto attivo, e che se non è al livello di fama che meriterebbe è soltanto a causa di come vanno un le cose nella scena in Italia.

La collaborazione è venuta più che spontanea perché c’era stima reciproca e ci si sentiva da tempo, così un pomeriggio a casa sua abbiamo chiuso il pezzo in mezz’ora.  Da lì ho contattato per gli scratch Danielito, un ragazzo di Calabria come il sottoscritto, che spacca come dj e che è molto attivo.

Stando a Milano poi era già nata una forte amicizia anche con Arias e suo fratello Carlos, i ragazzi di Block Stage, una realtà bellissima che rappresenta e unifica la comunità Latina di Milano e che tra l’altro gestisce eventi in un seminterrato che mi ricorda i posti più fighi della Londra Underground: una sera mentre facevo ascoltare il provino del pezzo ad Arias lui si è offerto generosamente di girarmi il video e poi ha invitato sul set i suoi fratelli della famiglia peruviana, tra i quali molti artisti, mentre io ho chiamato un po’ di amici e amiche, tra cui Willy Double Stylo, un altro rapper Italo-Habesha di cui sentirete parlare a breve e che per anni ha gestito lo storico locale Shanti in Porta Venezia.

Cosa ti spinge a scrivere e qual è il messaggio che vuoi portare attraverso la tua arte?

Come ti dicevo per me scrivere è stato istintivo, quindi è una domanda che non mi pongo neanche perché ho iniziato che ero quasi bambino, le prime rime le scrivevo sui banchi della scuola media. Ricordo che quando uscivo da scuola poi andavo al lavoro da mia mamma e dovevo aspettarla ogni giorno un’oretta prima che finisse, e così trascorrevo quell’attesa sempre scrivendo.

Per cui è una cosa talmente innata che non posso definirla. Sicuramente negli anni in cui mi sono fermato dal produrre non ho smesso del tutto di scrivere, ma ho rallentato parecchio, e infatti questo lo ricollego a una fase di vita in cui stavo negando a me stesso chi ero realmente, sicché ritornare all’Hip Hop per me è stato come rinascere e un riappropriarmi della mia vera natura.

Per quanto riguarda il messaggio io credo che ciascuno seguendo questa chiamata istintiva dovrebbe semplicemente incarnare la propria realtà, le proprie emozioni. Molti mi caratterizzano come “Conscious”, ma onestamente io non mi sento di essere qualcosa in particolare, quello che scrivo è solo il risultato di ciò che la vita e il tempo mi hanno portato a essere e il poco che ho capito.

Hip Hop, come lo spiegheresti ad un ragazzino di oggi?

Non vorrei sembrare retorico, ma credo che il punto è proprio che questa cosa non possa essere spiegata. Un ragazzino di oggi cresce diversamente da noi perché noi dovevamo andare a cercarci ogni piccola traccia di questa realtà che era ignota, discriminata e osteggiata dalla società e spesso anche dalle famiglie, mentre oggi guardandosi attorno c’è Hip Hop ovunque e non parlo solo di musica.

L’Hip Hop ha influenzato ormai il modo di parlare, sentiamo il vocabolario Hip Hop persino negli spot pubblicitari. Anche la musica leggera che noi odiavamo non esiste più perché ormai anche la musica commerciale ha adottato alcune ritmiche e metriche dell’Hip Hop, oltre alle metafore e al modo di scrivere.

I grandi marchi di moda che un tempo non volevano vestire i rapper oggi producono abiti griffati ma con un taglio più Streetwear. Tutti siamo felici di questa grande espansione, ma molti si lamentano che, così facendo, l’Hip Hop si sia snaturato. Io penso che in realtà il vero spirito dell’Hip Hop rimarrà sempre ma non lo troverai così nelle piazze, anche oggi va ricercato esattamente come facevamo noi ai tempi. E se lo cercherai lo troverai di sicuro.

Quello spirito delle Jam di un tempo sicuramente oggi è raro da trovare. L’Hip Hop ci insegnava l’autodeterminazione, credere in sé stessi e imparare che anche la persona apparentemente più disadattata può essere un pozzo di sapienza e di talento. Ci insegnava a tirare fuori il meglio dal peggio, come dicevano i Next Diffusion, ognuno in base alle proprie condizioni di partenza, e quindi a essere orgogliosi delle proprie origini, spesso origini che la mentalità borghese del boom economico ti inculcava di voler nascondere perché legate a una periferia o a un retaggio di disagio. Ci ha insegnato che la forza sta solo nell’unione, anche se purtroppo come umani spesso non riusciamo ad applicarlo, ma alla fine rimane il senso di comunità, in cui il network sostituisce la gerarchia, e si ragiona su un piano di uguaglianza. Ci insegna anche la competizione, quella sana, vitale per l’evoluzione. E soprattutto dovremmo ricordare che questa roba è per tutti, ma l’hanno inventata i Neri, e in parte i Latini, e quindi l’Hip Hop rappresenta l’onore delle identità indigene e non dovrebbe mai smettere di essere una forma di resistenza allo sfruttamento e al colonialismo, aspetto questo che anche molti puristi spesso trascurano e dimenticano.

Quali artisti ti hanno ispirato o ancora ti ispirano?

Fare nomi è relativo perché ogni artista può darti stimoli complementari a un altro, e poi gli artisti hanno le loro fasi di vita e anche noi le abbiamo, quindi tutto si evolve. Io non sono uno che rimane fermo ad un’epoca, mi piace aggiornarmi e scoprire cose sempre nuove. Però ciò che posso dirti per rispondere alla tua domanda è ciò che mi ha davvero segnato nei miei anni di formazione, ciò con cui sono cresciuto e che è rimasto indelebile.

Io sono un fanatico di Rakim, inoltre quando mi sono avvicinato era il momento di esplosione dei Wu Tang, e fai conto che per me Rakim e RZA sono anche proprio delle ispirazioni come personaggi a 360 gradi, come pensatori, leggendo i loro libri e per il loro mondo concettuale. Poi c’era anche tutto il filone Queensbridge quindi Nas, Mobb Deep, AZ, ma anche i Fugees con Lauryn Hill.

Guardando di notte Yo! Mtv Raps ho tipo dei frame incantati dei video di GZA e di quello di Nas con Lauryn Hill. Ovviamente come ogni ragazzino che all’epoca faceva Hip Hop, lei era il mio crush totale, assieme ad Erykah Badu, che all’epoca portava i dreadlocks ed il turbante.

Ero super fissato con Jeru the Damaja e Afu-Ra, anche per quello che dicevano, e credo di aver imparato a comprendere davvero la metrica ascoltando proprio Jeru e O.C. della DITC. Quando ho approfondito l’aspetto Conscious mi appassionai molto a Mos Def e Talib, ai Dead Prez e a Common, in particolare i Dead Prez e il disco dei Black Star li consumai in periodi in cui facevo mie ricerche interiori su altri percorsi come quello Rastafari, e quei dischi mi davano dei punti di contatto. Successivamente ho rivalutato anche uno come 50 Cent, che potrebbe sembrare l’antitesi di quello che racconto io nei miei testi ma che, secondo me, ha un sacco da insegnare rispetto al suo punto di partenza nella vita e a dove è arrivato professionalmente. Credo che se fai musica devi avere una pianificazione e pensare anche dal punto di vista del business.

Ho comunque ascoltato e ascolto tuttora tantissima altra roba, ma mi sembra quasi superfluo fare nomi di gente fortissima che oggi fa la storia.

Ovviamente ci sarebbe poi da addentrarsi sui classici della musica a cui il rap attinge, ma sarebbe un discorso forse troppo lungo ed articolato, diciamo che tra tutti chi mi emoziona maggiormente sono Isaac Hayes e Robert Nesta Marley.

La tua discografia al momento è fatta di singoli, hai intenzione di misurarti con un progetto più strutturato come un album? Ha ancora senso oggi pubblicare un LP?

Grazie per questa osservazione, secondo me ha tantissimo senso pubblicare un LP, eccome, ma devi arrivarci. Io voglio farlo tra non molto tempo, quando sentirò di avere la maturità artistica e il giusto numero di persone che vogliono entrare nel mondo che posso aprire. Vedo molti artisti underground che fanno dischi a ripetizione, anche miei amici, per poi constatare che il tuo disco lo ascoltano solo gli amici e pochi altri. D’altra parte la scusa di chi dice che gli LP non servono è quella che la musica oggi è veloce e superficiale e bisogna adattarsi. Non sono ovviamente d’accordo con quest’ultima visione, io penso che chi fa musica ricercata debba selezionarsi quel pubblico che si aggrappa alla musica come facevamo noi, però questa cosa richiede tempo e un target da costruire e fidelizzare, ed è per questo che penso che prima sia necessario farsi strada con tanti singoli, bombardando la scena e segnando il territorio.

 

Oltre alla musica so che sei coinvolto nel progetto “Erbe di Calabria”, ti va di parlarcene?

Looool, più che coinvolto, faccio tutto da solo! Ho un’azienda di CBD, canapa legale, e produco oli terapeutici e infiorescenze. Il marchio è “Regina del Sud”, un nome che si ricollega sia alle radici Black dell’Hip Hop, perché è il nome della Regina etiope citata nella Bibbia, sia alla regione dove l’erba viene coltivata, essendo quella, nei suoi pro e nei suoi contro, già una prima propaggine prossima all’Africa di quel “Sud del mondo”.

È questo progetto che mi spinge a vivere tra il Sud e il Nord e che per ora mi permette di non abbandonare del tutto la mia regione già desolata, come sono costretti a fare la maggior parte dei ragazzi di lì, e al tempo stesso di non rimanerci affossato e confinato, come fanno i pochi che rimangono per cause di forza maggiore.

La mia visione è collegare questo mio business al mio percorso nell’Hip Hop, quindi ti ringrazio di avermi fatto questa domanda. D’altronde sai bene che in Italia difficilmente si riesce a vivere di musica soltanto, ma spesso si può riuscire quando si hanno idee e progetti collaterali che si rivolgono a target almeno in parte simili.

 

 

 

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