EXXXTRA SPECIAL INTERVIEW. MAURY B LO STILE CLASSICO CHE STA BENE SU TUTTI I BEATS . A CURA DI MARTINO VESENTINI

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” Potremmo iniziare e finire questa presentazione così : Maury B. Basterebbe, visto che stiamo parlando di uno dei nomi storici, uno degli Mcs ( questa parola ormai in disuso… ) che hanno tracciato un percorso fondamentale da una delle principali capitali della cultura Hip Hop della penisola, Torino. Quando Martino Vesentini, autore dell’intervista Exxxtra di oggi , mi ha detto ” hey Quilo, ho un intervista di Maury B , la hai nella mail … vorrei che la intro la facessi tu ”  io ho subito pensato che ci sarebbe voluto un capitolo a se , visto la storia di Maury che conosco già dei tempi del Regio, e dei suoi progetti con i Next Diffusion; ero li a bordo palco anche durante quel mitico scontro ( di stili )  con Tormento nel primo Hip Hop Village, ora fanno un singolo insieme e questo è Hip Hop.  Sa Razza nell’epoca di Wessisla e ancor prima, era di casa nella scuola hip hop di Torino ( love to THC crew )  e quindi sono legato a quella Città e a chi, come Maury, ha sempre rappresentato in modo pulito e senza compromessi l’essenza del messaggio hip hop e la sua funzione.  Una storia insomma che Maury B attraverso questa piccola ma densa intervista saprà raccontare meglio di me.  Massimo rispetto, perché nonostante tutto è ancora un valore che guida chi si riconosce  nel vero, nello stile vero.  ” Q Sa Razza

 


Vorrei partire dall’inizio, ossia quando avvenne il primo contatto con l’Hip Hop?

Sono passati davvero tanti anni, più di trenta… il primo ricordo è forse legato al concerto di Public Enemy, Run DMC ed Derek B a Torino. Ero in Prima Superiore, provenivo dalla prima cintura intorno a Torino, Nichelino, c’era già la passione ma conoscevo ancora poco della Cultura, ai tempi ci si vedeva per scambiarci le opinioni sui dischi usciti, c’era un contatto anche col Regio, c’erano i Breakers, i Writers e in quel fermento c’era un sacco di gente che arrivava anche da fuori per capire cosa stava succedendo. Per dirti, ricordo Frankie Hi-NRG, Ice One, o lo stesso Neffa, che arrivò con gli stivali da cow-boy e si mise a giocare a basket al campetto, all’epoca suonava la batteria coi Negazione e faceva il buttafuori in un locale di Torino, si chiamava ancora Jeff. Poi si unì a noi e beccò Gruff, e da li iniziò un’altra storia.

Quanto ha significato l’esperienza Next Diffusion?

Eravamo ragazzini con la passione per la danza, la danza in piedi, il Freestyle-Hype, e viaggiavamo molto in treno per partecipare alle serate anche all’estero, in Francia in particolare perché avevamo capito che erano più avanti di noi. Parigi, Lione… ci imbucavamo alle serate, vedevamo i dischi più fighi usciti, tipo GangStarr. Poi durante una serata dei Rock Steady a Torino io e Lefty facemmo delle coreografie, e ci notò Next One, così gli raccontammo che facevamo anche rap, in inglese ancora. Lui aveva già un’esperienza importante, aveva vissuto negli Stati Uniti, e così ci mettemmo a lavorare su uno stile di rap in italiano che si rifacesse un po’ a quello americano, con la stessa cadenza, con le chiusure con gli accenti, con le vocali. Fu un esperimento, un tentativo di interpretare ciò che vedevamo Oltreoceano e in Francia. Poi ci furono un po’ di problemi, abbiamo un po’ scazzato sui soldi che dovevano arrivare ma non arrivarono mai e si è preferito scioglierci, anche se hanno cercato di sostituirmi per un po’ con Fede e poi con Esa. Eravamo anche molto giovani, non capivamo nulla di contratti e di ciò che c’era dietro alla musica.

Quali furono gli stimoli allora e quali sono oggi che ti spingono a scrivere?

Sicuramente è la voglia di esprimersi, la necessità di tirare fuori ciò che si ha dentro, anche per riflettere e capire meglio se stessi. Delle volte quando scrivi ti escono fuori delle cose che neanche pensavi di sapere, anche di te stesso. E’ un canale che ti porta a comunicare attraverso l’arte, che può rendere più facile la cosa, e a volte aiuta a dare una versione migliore di se stessi. Poi ci sono la tecnica e lo stile che sono più una questione di scelta e di esercizio, a volte di priorità. Per alcuni la tecnica non è nemmeno una necessità, fanno quattro vocalizzi con l’auto-tune sulla base e per loro è rap… Anche se adesso secondo me un po’ sta tornando sta cosa del flow, almeno con alcune nuove leve e ben venga!

Com’è nato il tuo nuovo singolo “Classico”?

Il pezzo si ispira a “Nas is Like”, avevo scritto il testo sul beat di alcuni ragazzi di Catanzaro, la OCZ, scelto facendo un piccolo contest su Facebook. Era bello e spaccava, ma quando siamo entrati in studio non suonava abbastanza per il livello che volevamo noi, così ho chiesto subito a Shocca che per me è un po’ il miglior produttore di riferimento. Devo dire che i pezzi più belli della mia carriera sono proprio quelli sui suoi beat, anche guardando i numeri dei miei streaming. Per il ritornello non volevo le solite frasi scratchate, ci stava una roba cantata Soul, ma comunque Street/Hip Hop e abbiamo pensato a Shorty.

L’album è pronto? Quando uscirà e con quali aspettative?

Possiamo dire che è già pronto, già registrato e tra l’altro proprio pochi giorni fa mi è arrivata la stampa della Cover per il vinile. Avevo un tot di pezzi già pronti, registrati, ho fatto girare un po’ la Demo, io cercavo un gancio per farlo a Torino, ma avevo anche la necessità di lavorare su alcune produzioni. Poi grazie a DJ Douglas ho avuto la possibilità di andare in studio a Milano a rifare un po’ di beat con Chryverde di AlienArmy, facendo un bel salto di qualità rispetto alle prime registrazioni.

C’era fin dall’inizio l’idea di stampare il vinile, per cui doveva per forza suonare al massimo delle possibilità. Con l’etichetta (Vibra Records) abbiamo deciso di far uscire dopo “Classico” altri tre singoli nei prossimi tre mesi e poi a Settembre sforneremo tutto il lavoro. Per quanto riguarda le aspettative, come sempre anche per i precedenti album, noi siamo nell’Underground, per cui non ci aspettiamo di fare chissà quali Tour o Eventi, però già sfornare un bel prodotto, curato e con le giuste collaborazioni è già una soddisfazione. Poi di solito dai dischi tutto ciò che viene è in più, c’è un sacco di gente in giro che fa musica e dischi, e non è detto che tutti vadano bene o che si riesca a fare tanti live. Noi partiamo con un bel disco, poi il resto verrà da se, con la speranza di suonarlo il più possibile dal vivo, un po’ sulla falsariga dei Colle Der Fomento che fanno un disco ogni dieci anni ma poi riescono ad avere un’intensa attività dal vivo, con palchi fighi in giro. L’esempio da seguire è quello, sono un punto di riferimento senza dubbio e si legano un po’ alla mia storia…

Una piccola anticipazione?

Guarda il prossimo singolo uscirà il 30 giugno e sarà con Tormento, per il resto dovete solo avere pazienza!

Sei uno dei pochi ad esserci stato quando in pochi seguivano il rap, come vedi la situazione di oggi, con tutta l’attenzione e le luci puntate sugli artisti Urban?

Ma guarda, una volta c’era molto più un rapporto diretto tra le persone, le persone giravano tanto per concerti, eventi e jam, oggi vedo che invece funziona quasi solo l’On Line, però penso comunque sia positivo che ci sia un ricambio generazionale. E’ necessario. Si spera che ci siano giovani che avranno modo e tempo di fare un po’ di ricerca sul passato, sai magari uno si ascolta il pezzo di Tedua con Inoki, poi va a vedersi la discografia di Inoki, e poi via via si ascolta tutta la Old School.

Che rapporto hai con la tua città, Torino?

E’ un po’ Amore-Odio, c’è del positivo e del negativo, è una città che da tanta ispirazione, ha un suo lato poetico, quasi magico-esoterico. E’ una città che fa riflettere, una città storica, ma pur sempre una sorta di satellite di Milano, per cui sono sempre mancati i mezzi per far emergere i nostri artisti locali nel resto d’Italia. Anche in passato coi primi dischi siamo andati a cercare fortuna a Bologna o Milano, da noi è sempre mancata la cultura del Music Business. Non esiste un’etichetta Major, o una Radio Nazionale qui a Torino. Emergere è sicuramente più difficile. Ci sono talenti giovani molto forti che qui alla lunga si stufano, perché non vedono serate, soldi, attenzione, e quindi alla fine smollano il colpo, ed è un peccato. Nei Novanta anch’io andai a Milano dagli OTR a lavorare con Fritz Da Cat, oggi non credo ne varrebbe la pena, già solo il costo della vita è troppo alto e comunque alla mia età avrebbe poco senso. Va bene così!

 

 

 

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